Un SSD dalle performance eccellenti

Quando ho mosso i primi passi da fotografo professionista non avevo un metodo preciso per gestire le immagini e nel mio computer regnava l’anarchia: alla fine di ogni servizio fotografico scaricavo le schede di memoria sul mio portatile ed effettuavo un backup una tantum so un disco esterno.

Ovviamente con l’aumentare del lavoro, mi sono reso conto in breve tempo che avrei dovuto trovare una soluzione per non impazzire o per non rischiare di perdere delle fotografie importanti. Per trovare ordine nel caos ho riassunto le quattro fasi più importanti di quello che sarebbe stato il mio futuro workflow:

1) Download

2) Catalogazione

3) Backup

4) Post-produzione (e ancora backup)

Con gli anni il mio metodo si è consolidato e adattato alle mie esigenze e alle mie attrezzature. Ogni fotografo a seconda del tipo di lavori prevalentemente svolti utilizza strategie di archivio diverse, quindi chiariamo subito che questo mio “workflow” non è assolutamente da considerarsi perfetto per tutti, ma spero tuttavia che possa rappresentare una buona base per chi si appresta per la prima volta a fare ordine nel proprio archivio fotografico, o per i miei clienti che avessero la curiosità di scoprire un po’ del lavoro che avviene dietro le quinte.

Prima fase: on the road

Alla fine di un servizio fotografico (o durante, se c’è tempo a disposizione), le schede di memoria vengono copiate (mai svuotate!) su un SSD (hard disk a stato solido come l’ottimo Samsung T5), facendo attenzione al numero di files copiati e quello effettivamente presente nella cartella sul SSD, in modo da essere sicuri di avere una copia di tutto.

Già in questa prima fase le foto risiederanno all’interno di una cartella dal nome “RAWS”, anch’essa all’interno di una cartella con un nome strutturato in maniera logica e sempre consistente, ad esempio:

2019-01-01 – Event – Nome dell’evento

  A seconda del tipo di lavoro ogni cartella avrà una

A seconda del tipo di lavoro ogni cartella avrà una “categoria” ben precisa

Seconda fase: catalogazione

In questa seconda fase le foto vengono rinominate (ad esempio: LAND_170629_00001) ed importate in Adobe Lightroom, generando le “smart previews”. Il catalogo di Lightroom si trova anch’esso all’interno del SSD e viene effettuata una copia di backup ad intervalli regolari. È importante notare che le schede di memoria non devono essere formattate fino alla fase successiva, ovvero:

Terza fase: il primo di tanti backup

Ora che le immagini sono salvate sul SSD, rinominate e catalogate in Lightroom è ora di fare un backup della cartella 2019-01-01 – Event – Nome dell’evento. Questo solitamente avviene una volta rientrato in ufficio. La cartella viene dapprima copiata per intero su un hard disk da 3.5 pollici (con un semplice drag & drop).
Come dischi utilizzo principalmente quelli prodotti da Western Digital o Seagate, e vi accedo tramite una dock che può alloggiarne due contemporaneamente. Il primo disco di backup (es: 1B ) viene poi clonato su un secondo disco (es: 1B Backup ) di uguale capacità tramite l’applicazione Carbon Copy Cloner, che si occupa di confrontare i files e sincronizzarli dal disco di backup principale a quello secondario. Periodicamente clono il secondo disco su un terzo (es: 1B Backup2 ) per avere un ulteriore copia di sicurezza (che anziché essere conservata a studio vive a casa con me!).

  Carbon Copy Cloner, uno dei migliori software per Mac per clonare hard disk

Carbon Copy Cloner, uno dei migliori software per Mac per clonare hard disk

Quarta fase: selezione & post-produzione

A questo punto inizia la fase di selezione e revisione in Lightroom delle immagini scattate. Finita la revisione (per essere sicuri di non avere a che fare con file corrotti o mancanti), formatto le schede di memoria in modo da averle pronte per il prossimo lavoro.
La prima parte di post-produzione avviene tramite le smart previews generate in Lightroom. Per ogni intervento in Photoshop invece avrò bisogno di collegare il disco di backup principale ( 1B ) per avere accesso ai file originali. In questa fase continuo a creare backup ad intervalli regolari del disco principale sul disco secondario.

Conclusioni:

Il principio cardine del mio metodo di archiviazione e backup è la presenza costante di 2 backup identici tra loro, più un ulteriore terzo backup che viene effettuato solitamente all’inizio e alla fine della fase di post-produzione, e che viene conservato in un luogo diverso rispetto agli altri. Con questa logica, sono al sicuro dai seguenti imprevisti:

1) Se il disco di backup principale dovesse risultare corrotto, inaccessibile o non funzionante, il disco secondario mi permetterà di riprendere il lavoro senza particolari interruzioni o senza dover ricominciare la selezione o la post-produzione (grazie alla sincronizzazione dei dischi con Carbon Copy Cloner, o in alternativa un metodo efficace è l’utilizzo di una coppia di dischi in RAID)

2) Carbon Copy Cloner mi avvisa in caso di errori e conserva sul secondo disco una copia dei file modificati o cancellati nel primo disco, permettendomi dunque di tornare indietro di un backup se ne dovessi avere bisogno.

3) Gravi errori (ad esempio immagini o filesystem corrotti) segnalati da Carbon Copy Cloner che possano rendere inutilizzabile anche il secondo disco, i file originali sarebbero comunque disponibili sul terzo backup. In questo caso l’unico prezzo da pagare potrebbe essere di dover ricominciare la post-produzione.

4) Rapine, incendi o cataclismi (localizzati) potrebbero distruggere i backup presenti a studio, ma avrei comunque una copia del mio archivio al sicuro a casa con me. Ma non vivendo dentro un bunker…

…bonus tip: utilizzate una piattaforma di backup cloud (ad esempio BackBlaze per qualsiasi tipo di file, o ShootProof per i jpegs) e dormirete sonni tranquilli!